Navigare il Panorama della Corporate Governance Italiana: Un’Analisi Comparativa dei Modelli Tradizionale, Monistico e Dualistico

Nel vivace dibattito sulla corporate governance, una questione centrale riguarda l’efficacia e l’efficienza dell’organo amministrativo nelle società per azioni italiane sotto i tre modelli di governance previsti dall’ordinamento giuridico italiano: il tradizionale, il monistico e il dualistico. Sebbene i modelli monistico e dualistico italiani traggano ispirazione dai noti sistemi one-tier e two-tier diffusi nelle principali giurisdizioni estere, presentano peculiarità distintive plasmate dal contesto legale, economico e di mercato italiano. Queste differenze evidenziano la sfida di adattare i quadri di governance internazionali al contesto italiano, dove il modello tradizionale domina da oltre un secolo.

Il dibattito non è meramente accademico, poiché influisce direttamente sull’evoluzione dell’organo amministrativo, incaricato di garantire che il modello di governance scelto sia in linea con gli obiettivi strategici e le esigenze operative dell’azienda. In alcuni casi, l’organo amministrativo deve proporre all’assemblea dei soci il modello di governance più appropriato tra le tre opzioni disponibili, una decisione che impatta sull’efficienza e la competitività delle imprese italiane nel più ampio sistema economico.

Il modello tradizionale di governance, radicato nel Codice di Commercio del 1882 e perfezionato attraverso il Codice Civile del 1942 e successive riforme – in particolare la Riforma del Diritto Societario del 2003 (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) – rappresenta la pietra angolare della corporate governance italiana da oltre 130 anni. Unico nel suo genere, questo modello è poco compreso a livello internazionale. Per le società quotate, ulteriori strati di regolamentazione, tra cui il Testo Unico della Finanza (TUF), le normative secondarie di Consob, l’autonomia statutaria e i codici di autodisciplina come il Codice di Corporate Governance di gennaio 2020 (adottato secondo il principio “comply or explain”), modellano ulteriormente le pratiche di governance. Anche i regolamenti di Borsa Italiana contribuiscono a definire gli standard di governance per le società quotate.

Introdotti nel 2004 con la suddetta riforma, i modelli monistico e dualistico miravano a incrementare la flessibilità organizzativa, allineando le imprese italiane agli standard di governance europei e internazionali, come quelli previsti per la Società Europea (Societas Europaea). Tuttavia, la loro adozione è rimasta limitata, con il modello tradizionale che continua a dominare. Nel 2020, solo tre delle 228 società quotate sul Mercato Telematico Azionario (MTA) avevano adottato il modello monistico, e una sola aveva scelto il dualistico, evidenziando il predominio radicato del modello tradizionale.

Il legislatore italiano ha cercato di migliorare l’adeguatezza organizzativa, ponendo enfasi sull’interazione tra le funzioni di controllo interno e l’organo amministrativo in tutti e tre i modelli. Nelle società per azioni, l’organo amministrativo è tipicamente un consiglio collegiale, poiché né il modello monistico né quello dualistico consentono un amministratore unico, e il modello tradizionale, specialmente nelle imprese di medie e grandi dimensioni non quotate, privilegia una struttura consiliare. Per le società quotate, il TUF preclude espressamente l’uso di un amministratore unico, richiedendo un consiglio nominato attraverso un sistema di voto di lista che garantisca diversità, indipendenza e rappresentanza delle minoranze.

Il modello tradizionale concentra le funzioni di controllo su una supervisione ex-post da parte del Collegio Sindacale, che monitora l’esecuzione del contratto sociale e la conformità organizzativa. Tuttavia, questo approccio è spesso considerato inadeguato rispetto a meccanismi di controllo ex-ante che affrontano proattivamente le attività aziendali e i potenziali conflitti all’interno del consiglio. Le recenti modifiche normative, inclusi i requisiti per strutture organizzative adeguate e sistemi di controllo interno, hanno spostato il ruolo del consiglio verso una funzione più di supervisione, in particolare nel monitoraggio delle attività dell’amministratore delegato. L’introduzione di comitati consiliari, amministratori non esecutivi, amministratori indipendenti e, per le società quotate, amministratori eletti dalle minoranze riflette questa evoluzione.

Nel modello monistico, ispirato al sistema one-tier, il consiglio di amministrazione integra le funzioni di gestione e controllo, con un comitato di controllo interno incaricato della supervisione. Questo modello punta a semplificare il processo decisionale, ma richiede robusti controlli interni per mitigare i conflitti di interesse. Il modello dualistico, ispirato al sistema two-tier, separa le funzioni di gestione (consiglio di gestione) da quelle di supervisione (consiglio di sorveglianza), offrendo maggiore indipendenza ma potenzialmente aumentando la complessità. Entrambi i modelli, pur allineati alle pratiche internazionali, incorporano adattamenti specifici al contesto italiano, come il rinvio alla disciplina del modello tradizionale dove compatibile, un approccio criticato come legislativamente inadeguato.

La scelta del modello di governance ha un impatto significativo sulla capacità di un’azienda di competere nei mercati globali. L’intenzione del legislatore era di fornire flessibilità per adattare le strutture di governance alle dimensioni, alla struttura proprietaria e agli obiettivi strategici dell’azienda, promuovendo un’amministrazione efficiente ed efficace. Per le società quotate, l’interazione tra autonomia statutaria, normative TUF, regole Consob e il Codice di Corporate Governance modella la composizione e il funzionamento del consiglio, enfatizzando indipendenza, diversità ed elezioni basate su liste.

I dati empirici evidenziano la prevalenza schiacciante del modello tradizionale, guidata dalle sue radici storiche e dalla familiarità nella cultura aziendale italiana. Tuttavia, il suo quadro di controllo ex-post potrebbe risultare meno efficace rispetto alla supervisione proattiva offerta dai modelli monistico e dualistico, più in linea con le esigenze dei mercati moderni. La limitata adozione dei modelli alternativi suggerisce un approccio cauto da parte delle imprese italiane, forse dovuto a resistenze culturali o alla percezione di complessità.

Determinare il modello di governance “migliore” rimane complesso, poiché l’efficacia di ciascun sistema dipende dal contesto specifico dell’azienda. Il modello tradizionale offre semplicità e familiarità, il monistico privilegia l’efficienza attraverso funzioni integrate, mentre il dualistico enfatizza la supervisione indipendente. Mentre le imprese italiane navigano un mercato globalizzato, la sfida consiste nel bilanciare i punti di forza di questi modelli con la necessità di adeguatezza organizzativa e competitività, garantendo che le strutture di governance supportino gli obiettivi strategici e rafforzino la resilienza economica.