Greenwashing

Nel contesto della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), molte aziende sono state accusate di non tradurre le proprie dichiarazioni di impegno verso i criteri ESG in azioni concrete. Questa discrepanza tra una comunicazione apparentemente responsabile e le pratiche effettive è comunemente etichettata come greenwashing.

L’introduzione ufficiale del termine greenwashing viene ufficialmente fatta risalire all’ambientalista newyorkese Jay Westervelt tramite un saggio del 1986 in cui criticava aspramente la pratica delle imprese alberghiere di collocare in ogni camera una green card per promuovere il riutilizzo degli asciugamani, ma allo stesso tempo senza fare alcun reale sforzo per la salvaguardia dell’ambiente.

Nonostante ci siano state molte critiche relativa alla presenza di un approccio al CSR (Corporate Social Responsability) totalmente volontario e non regolamentato, nell’ultimo decennio, a causa dell’incremento dei problemi ambientali e dell’attenzione sempre maggiore del pubblico su tali questioni, il fenomeno del greenwashing ha registrato una notevole crescita diventando più sofisticato. Le conseguenze di questa pratica possono essere categorizzate in tre gruppi principali di interessati: a) consumatori; b) imprese; c) società e ambiente. 

L’espansione di questo fenomeno ha portato a un crescente scetticismo da parte dei consumatori, i quali mostrano una sempre maggiore diffidenza verso le dichiarazioni di responsabilità sociale e ambientale delle aziende. Cosicché anche le imprese effettivamente attive nel rispetto delle politiche ambientali vengano coinvolte in questo vortice di diffidenza e scetticismo.

Questa situazione inevitabilmente danneggia la reputazione delle aziende, causando una svalutazione del marchio e influenzando negativamente le loro performance finanziarie. La perdita di legittimità e reputazione, anche quando un’impresa è autenticamente responsabile, può scoraggiare ulteriori sforzi verso la sostenibilità arrecando danni sia ai consumatori che all’ambiente stesso.

In Italia, una delle prime e più celebri sentenze legate al greenwashing coinvolse ENI S.p.A. nel 2020, quando fu colpita da una sanzione di cinque milioni di euro per la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli utilizzati nella campagna promozionale che ha riguardato il carburante Eni Diesel+. ENI è stata sanzionata per l’utilizzo delle etichette “Green diesel”, in quanto la campagna pubblicitaria promuoveva un positivo impatto ambientale connesso al suo utilizzo nonostante il fatto che il gasolio fosse altamente inquinante e un risparmio in termini di consumi con conseguente riduzione delle emissioni gassose.

Considerando il settore finanziario un evento significativo ha visto come protagonista la società di investimento Dws, controllata da Deutsche Bank, che è stata oggetto di attenzione dopo la pubblicazione di un articolo del Wall Street Journal che riportava un’indagine delle autorità sulla mancanza di trasparenza nei criteri di investimento della Dws. In particolare, l’azienda è stata accusata di sovrastimare l’ammontare degli asset gestiti secondo i criteri ESG (con un sospetto di greenwashing sugli investimenti). La conseguenza è stata un crollo delle azioni del 14%, la capitalizzazione ridotta di oltre un miliardo di euro e una multa di 25 milioni di dollari (6 milioni di dollari per la questione antiriciclaggio e 19 milioni di dollari per la questione greenwashing).

Il greenwashing nel settore finanziario è un problema rilevante, soprattutto ora che i fondi ESG non sono più una nicchia di mercato. Secondo una ricerca pubblicata nel luglio 2021 dalla Morningstar, dopo l’implementazione delle nuove norme europee sulla divulgazione degli aspetti ambientali, sociali e di governance, il 34% del patrimonio gestito dai fondi europei rientra nelle categorie definite dagli articoli 8 e 9 della normativa SDFR, con un valore complessivo di 3000 miliardi di euro. In dettaglio, il 30,3% rientra nell’articolo 8 (che riguarda prodotti finanziari che promuovono caratteristiche ambientali o sociali) e il restante 3,7% nell’articolo 9 (relativo a prodotti finanziari con l’obiettivo di investimenti sostenibili).

Rimangono forti dubbi su quanto effettivamente i gestori integrino i fattori ESG nelle proprie strategie di investimento e soprattutto se nella misura dichiarata o se siano solamente dichiarazioni di facciata al fine di migliorare la propria immagine vista l’attenzione sempre maggiore dell’opinione pubblica verso il mondo degli investimenti sostenibili.

In un sistema finalizzato al raggiungimento di risultati nel breve termine in cui le società di investimento sono obbligate a cercare di massimizzare il ritorno sugli investimenti nel minor tempo possibile, una delle strategie per cambiare le cose potrebbe derivare dall’introduzione di una regolamentazione più rigida che costringa i gestori, attraverso ad esempio il metodo della leva fiscale (carbon tax), ad evitare alcune tipologie di investimento (come quelle legate al carbonio e al petrolio) perché non più economicamente convenienti e ad orientarsi su prodotti green con tassazione inferiore.

In aggiunta, è importante tenere presente che la stessa definizione di “investimento sostenibile” può essere soggetta a diverse interpretazioni. Ad esempio, l’Unione Europea include nella categoria degli investimenti sostenibili anche quei fondi che adottano solo criteri di “esclusione leggeri” o che dichiarano formalmente di seguire i criteri ESG, ma che alla fine potrebbero non costituire i principali determinanti delle loro scelte di investimento.

Ancora oggi, il fenomeno del greenwashing persiste, e nel settore finanziario i casi registrati nell’Unione Europea, inclusi quelli delle banche, sono passati da 40 nel 2018 a circa 206 nel 2022. Questo settore rappresenta una parte significativa del totale dei casi segnalati nell’UE, contribuendo al 23% degli episodi di greenwashing che coinvolgono le imprese europee nel 2022. Le questioni legate al clima, alle emissioni di carbonio e all’inquinamento restano le principali problematiche riportate, seguite dall’impatto sulla biodiversità.

Per affrontare queste problematiche potrebbe essere utile intervenire attraverso:

  • La revisione della definizione di investimento sostenibile secondo la SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation), che attualmente presenta un alto grado di flessibilità e manca di metriche e soglie condivise per valutare il contributo di un investimento a un obiettivo sostenibile.
  • Una maggiore trasparenza informativa, includendo informazioni veritiere e chiare sugli obiettivi di sostenibilità, iniziative e processi. 
  • Un maggiore allineamento alla Tassonomia europea, che fornisce un quadro di classificazione importante per gli investimenti green e introduce obblighi di informativa correlati. Rappresenta quindi uno strumento chiave per identificare prodotti e strumenti finanziari sostenibili.
  • Una migliore affidabilità dei dati, assicurando che i dati ESG e le relative fonti siano affidabili e verificabili. Presidiare la divulgazione e monitorare i progressi compiuti è essenziale.
  • Un sistema di etichettatura per prodotti finanziari efficiente: è cruciale stabilire rigorosi requisiti per l’assegnazione delle etichette, condurre controlli periodici e garantire coerenza con gli sviluppi normativi in corso.

In questo contesto la Commissione europea a marzo 2023 si è mossa proponendo nuovi criteri comuni per contrastare il fenomeno del greenwashing e le asserzioni ambientali ingannevoli, approvati poi dal Parlamento a maggio 2023. La proposta della Commissione integra quelle di marzo 2022 sulla “responsabilizzazione dei consumatori verso la transizione verde” stabilendo norme più specifiche in materia di asserzione ambientale e un divieto generale di pubblicità ingannevole.

Le recenti proposte della Commissione europea per criteri comuni e norme specifiche contro il greenwashing sono passi significativi verso la tutela dei consumatori e degli investitori. Tuttavia, rimane fondamentale un costante monitoraggio e l’implementazione di misure efficaci per garantire che le asserzioni ambientali siano trasparenti, verificabili e conformi agli standard sostenibili.

Il settore finanziario, in particolare, richiede un rafforzamento delle definizioni di investimento sostenibile, una maggiore trasparenza informativa, l’allineamento alla Tassonomia europea e un sistema di etichettatura efficiente per garantire chiarezza e coerenza. La collaborazione tra regolatori, aziende e consumatori è essenziale per garantire che gli sforzi verso la sostenibilità siano autentici e contribuiscano effettivamente a mitigare i problemi ambientali.

In un contesto in cui la consapevolezza pubblica è in costante aumento, la lotta contro il greenwashing diventa cruciale per promuovere pratiche aziendali responsabili e sostenibili.