L’impatto dei cambiamenti climatici sull’economia italiana

Gli effetti del cambiamento climatico stanno emergendo chiaramente in Italia, soprattutto negli ultimi sei mesi caratterizzati da eventi climatici disastrosi. A giugno, Legambiente ha presentato i dati del suo Osservatorio Città Clima, i quali hanno rivelato un impressionante aumento del +135% degli eventi meteorologici estremi in Italia dall’inizio del 2023, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Nei primi cinque mesi dell’anno, da gennaio a maggio, sono stati registrati 122 eventi estremi, più del doppio rispetto ai 52 dell’anno 2022. Questa crescita assume un significato ancor più inquietante, considerando che già nel 2022 gli eventi meteorologici estremi erano aumentati del +55% rispetto all’anno precedente. Dal 2010, il Bel Paese ha affrontato ben 1.674 eventi meteorologici, ovvero un evento ogni 3 giorni.

Inoltre, da un’analisi condotta da Bain & Company e Jupiter Intelligence risulta che oltre il 40% del territorio italiano è già oggi esposto al rischio fisico e si prevede che la superficie di rischio possa superare quota 60% entro il 2050.

Nel contesto attuale, caratterizzato da cambiamenti climatici sempre più rapidi, un’azienda su 3 si trova esposta a possibili perdite economiche dovute a fenomeni naturali come ondate di calore, forti precipitazioni, inondazioni e frane. 

A livello settoriale, i settori più vulnerabili risultano essere l’Agricoltura, l’Allevamento e la Pesca (56%), seguiti da Energia, Gas ed Acqua (45%) e Edilizia (44%), che completano il podio. Successivamente, troviamo Magazzini/Logistica (42%), Industria (39%), Alberghi e Ristorazione (35%), Servizi (33%), Commercio (32%) ed Artigianato (30%).

A livello macroeconomico, una ricerca di Banca d’Italia, a partire da un’ipotesi di incremento del PIL pro capite del 2% l’anno (equivalente a quanto registrato in media nel periodo 1871-2001), evidenzia che se la temperatura crescesse in modo costante di 1,5°C tra oggi e il 2100, la dinamica del prodotto sarebbe più contenuta rispetto all’ipotesi del suo aumento al trend storico, con una riduzione del tasso di crescita annuale in un range tra 0,04 e 0,13 punti percentuali. Al 2100 il PIL pro capite raggiungerebbe un livello tra il 2,8 e il 9,5% inferiore rispetto a quello che prevarrebbe se crescesse al suo trend storico.

In termini di fatturato, attualmente si stima che le aziende subiscano una perdita media annua dello 0,65% a causa dei quattro principali fattori ambientali: ondate di calore, precipitazioni intense, inondazioni e frane. Tuttavia, il dato più preoccupante è che entro il 2050, a causa del cambiamento climatico, queste perdite potrebbero aumentare fino al 8% del fatturato delle aziende.

Ad oggi il posizionamento delle imprese riguardo questa tematica risulta ancora fermentato, infatti se da un lato sembrerebbe trasparire un ridotto dinamismo del tessuto produttivo italiano nel suo complesso, dall’altro sta emergendo e consolidandosi un gruppo di imprese all’avanguardia che dimostrano una profonda consapevolezza dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici. Queste aziende sono caratterizzate da una notevole propensione all’innovazione e sono impegnate nella sperimentazione di nuove soluzioni per promuovere la sostenibilità ambientale.

Da uno studio su un campione di circa 550 imprese, promosso da Assolombarda, risulta che sul fronte dei rischi fisici, ossia quelli collegati al verificarsi di eventi metereologici estremi, quasi un’impresa su quattro dichiara di essere stata interessata direttamente o indirettamente da eventi naturali estremi nel quinquennio 2017-2021. Per quanto concerne la percezione delle imprese riguardo ai rischi di transizione, ovvero quei rischi correlati ai cambiamenti giuridici, tecnologici, di mercato e reputazionali connessi alla transizione ecologica, il 78% delle aziende intervistate si ritiene esposto, sia direttamente che indirettamente, mentre il 45% si considera esposto direttamente.

All’interno del contesto della transizione energetica, solo il 12% delle aziende è in grado di autoprodurre oltre il 10% del proprio fabbisogno energetico da fonti rinnovabili. Inoltre, solo il 12% delle imprese dispone di impianti di cogenerazione, ma questa percentuale aumenta al 33% tra le grandi aziende con un elevato consumo energetico. La crisi energetica scaturita dal conflitto Russia-Ucraina ha fatto sì che le realtà imprenditoriali più dinamiche abbiano reagito a questo shock imprimendo una forte accelerazione sul fronte dell’efficientamento energetico e dell’installazione di impianti per l’autoproduzione di energia rinnovabile.

Ad oggi tra i principali fattori che spingono le aziende a investire nella propria sostenibilità ambientale, la visione e l’impegno dei vertici aziendali e le richieste dei clienti giocano un ruolo fondamentale. Tuttavia, è sempre più diffusa la consapevolezza che altri elementi diventeranno sempre più rilevanti in questo contesto. Ad esempio, le richieste da parte degli operatori finanziari per consentire l’accesso ai capitali, i crescenti vincoli normativi derivanti dalle politiche pubbliche europee e nazionali e le pressioni provenienti dalla concorrenza sono fattori che influenzano le decisioni delle imprese verso la sostenibilità ambientale.

Le imprese di maggiori dimensioni, spesso caratterizzate da una gestione più avanzata e un consumo energetico più elevato, presentano le migliori performance in termini di consapevolezza e investimenti per la sostenibilità ambientale. Questa situazione pone una grande sfida per l’economia nazionale, essendo dominata da piccole e medie imprese. Pertanto, l’obiettivo sarà di supportare queste tipologie di imprese nella transizione ecologica mediante incentivi fiscali ed economici, nonché aumentare la consapevolezza riguardo alle problematiche che i cambiamenti climatici comporteranno in futuro.