
L’acquisizione di un’azienda, simile all’acquisto di un’auto usata, rivela la sua vera natura solo dopo l’effettivo possesso e la gestione nel tempo. Nonostante un’approfondita due diligence e l’assistenza di esperti, le sfide intrinseche delle fusioni e acquisizioni (M&A) emergono pienamente solo quando l’accordo è concluso e l’acquirente è chiamato a guidare l’attività. Con stime che indicano un tasso di fallimento delle acquisizioni tra il 70% e il 90%, il ruolo di una consulenza strategica e attenta diventa fondamentale per mitigare i rischi e contenere i costi successivi all’operazione.
L’obiettivo primario di qualsiasi operazione di M&A è duplice: garantire la crescita attraverso l’acquisizione di nuovi prodotti, mercati e clienti, e aumentare la redditività grazie al potenziale strategico dell’accordo. La deviazione da questi obiettivi, l’assenza di un piano concreto con controlli adeguati e la mancanza di processi di integrazione necessari sono tra le principali cause di insuccesso.
Il fallimento di un’operazione di M&A può derivare da molteplici fattori, ma un coinvolgimento consapevole degli owners e una gestione oculata della consulenza possono fare la differenza. Affidare ciecamente tutte le responsabilità ai consulenti M&A, solo perché sono retribuiti lautamente, è un errore comune. Il loro ruolo è generalmente limitato alla fase pre-deal; la responsabilità di guidare la nuova entità ricade sull’owner. Quest’ultimo dovrebbe essere coinvolto sin dall’inizio, strutturando attivamente l’accordo e relegando i consulenti a un ruolo di supporto. Questa partecipazione diretta non solo beneficia l’accordo ma arricchisce l’owner di un’enorme esperienza.
La sottovalutazione è un altro rischio critico. Ciò che appare solido sulla carta (numeri e asset) potrebbe non rivelarsi un fattore vincente una volta conclusa l’operazione. La scarsa integrazione post-fusione rappresenta una delle sfide maggiori. Un’analisi accurata e preventiva, condotta con l’ausilio di advisor esperti, può identificare dipendenti chiave, progetti e prodotti cruciali, processi sensibili e colli di bottiglia. Su queste basi, è possibile progettare processi di integrazione efficienti, supportati da consulenze mirate, automazione o persino opzioni di outsourcing, per evitare costi imprevisti e ritardi.
Le problematiche legate all’integrazione culturale sono profonde e richiedono una strategia ben definita. Si può optare per un’integrazione forzata, superando le differenze culturali, oppure concedere autonomia alle unità locali/regionali. Le operazioni finalizzate all’espansione, inoltre, impongono una rigorosa valutazione della capacità dell’azienda acquirente di integrare e sviluppare il business più ampio. È essenziale verificare che le risorse esistenti non siano già sature e che siano state allocate risorse dedicate (incluso il tempo e l’impegno dell’owner) per colmare eventuali lacune e affrontare sfide impreviste, la cui gestione può generare costi significativi.
Costi di recupero elevati e errori negoziali, come il sovrappagamento per un’acquisizione (spesso aggravato da elevate commissioni di consulenza), possono portare a perdite finanziarie e al fallimento dell’accordo. Sebbene fattori esterni, come il collasso del settore finanziario nel caso di Bank of America/Countrywide, possano essere incontrollabili, l’approccio migliore in tali situazioni è quello di minimizzare le perdite future, anche tramite decisioni drastiche come la chiusura dell’attività.
Infine, è sempre consigliabile valutare alternative radicali, come diventare un target di vendita per uscire dal mercato con un ritorno migliore, e predisporre un piano di backup per disimpegnarsi tempestivamente (con o senza perdite), prevenendo ulteriori danni, dato l’alto tasso di fallimento delle acquisizioni. La vigilanza costante di owners, consulenti e tutti i partecipanti è fondamentale per riconoscere e affrontare i potenziali ostacoli.
